Per essere una squadra dovete essere una famiglia
La Mental torna a voi con la rubrica del BS dedicata al lavoro che svolgo con i nostri ragazzi e con alcune riflessioni più ad ampio raggio.
In questo momento sono nel pieno dei colloqui che svolgo ogni stagione con ciascun ragazzo che appartenga alle squadre dai u.15 agli u.17
Ogni anno trovo questo momento un’occasione speciale e privilegiata. Mi consente di mettere un tassello in più nello zaino della conoscenza.
Guardo i ragazzi negli occhi, osservo la serietà con la quale approcciano il colloquio. Alcuni di loro sono nervosi, altri, ormai abituati, sanno cosa li attende. Alcuni si innervosiscono di fronte alle mie piccole provocazioni, altri si emozionano così tanto da cedere a qualche commozione.
Alla fine di ogni sessione di colloquio ne esco con tanto affetto, gratitudine, riconoscimento. Ogni volta sono fiera e felice del lavoro che mi è concesso di fare.
Li osservo ascoltare le parole del coach, mi prendo i loro feedback e le loro frustrazioni. Mi soffermo su quelle mani che si stropicciano l’una dentro l’altra e ascolto le parole che raccontano.
Quanta adolescenza scorre in loro, quante paure, preoccupazioni tipiche di questo momento che vivono e dell’età e della generazione a cui appartengono e che attraversano.
I ragazzi di oggi temono la paura del giudizio altrui. La temono e la sentono scorrere prepotentemente attraverso molte delle cose che fanno.
Alcuni si voltano a cercare uno sguardo di approvazione sugli spalti, altri si chiudono in sé stessi in spogliatoio, oppure reagiscono in campo a qualunque provocazione, o sbattono la porta andando via, ecco alcune delle tante modalità che mettono in campo per affrontare le loro paure.
Nei nostri colloqui racconto loro – e lo voglio scrivere anche qui – che di fronte a queste fragilità devono comportarsi come dei super eroi.
Devono essere il loro super eroe, e comprendere che giudizio e critica sono due cose diverse. Devono comprendere che siamo qui per ascoltarli e sostenerli.
Spiego loro che giudizio e critica sono due cose diverse.
Il primo li colpisce in quello che sono, nella loro persona, nei loro ideali, valori, credenze e questo si, può ferire.
La critica invece, è qualcosa che ha a che vedere con quello che fanno (o non fanno) e che questa, fa parte del processo relazionale e di crescita a cui bisogna far fronte.
Come dice una battuta di un noto film: “Sai perché cadiamo, Bruce? Per imparare a metterci in piedi”. Se lo fa e lo dice Batman, lo dobbiamo imparare anche noi.
Il giudizio è istinto, la critica è qualcosa che invece va pensata, articolata, rielaborata e poi affrontata e risolta.
Nessuno di noi è esente dalle critiche perché attraverso esse possiamo diventare sempre un po’ più grandi, responsabili, capaci, audaci, consapevoli e attori proattivi del processo.
Questo è per me far partecipare un atleta a un percorso sportivo. Non basta fornire lui un luogo e una disciplina, bisogna ingaggiarlo nel proprio percorso, affinché davvero lo strumento sport sia un passaggio significativo ed evolutivo.
Invito i genitori ancora una volta a riflettere su quello che proponiamo ai ragazzi, a non fornire loro troppi alibi “perché fanno fatica” o dall’altra parte a non “sgridarli” sempre per tutto quello che sono e fanno.
Invito i genitori a fidarsi del lavoro che stiamo facendo tutti, accogliendolo con pazienza e fiducia.
Costruiamo insieme il loro percorso, perché così facendo sarà davvero un’esperienza fantastica.
A presto!